Essere una giovane donna fra il 1968 e il 1977 in Italia. Esserlo in una famiglia autorevole di origini ebraiche e progressiste e decidere di andare a vivere da sola nel centro di Roma, in un punto che è paradossalmente difficile da spiegare anche ai tassisti, pur essendo ad una manciata di metri da piazza del Popolo e dall’Ara Pacis, da Piazza Navona e dal Pantheon. Un luogo prezioso dove prendere confidenza con il resto del mondo, facendo fatica a mettere insieme l’affitto e la cena ma senza dolersene troppo, con l’esuberanza che ti permettono i vent’anni. Quando tutto è possibile e tutto – il lavoro, l’amore, la militanza politica – è ancora da provare e sperimentare. Una tana sgangherata che diventa una casa per tante e tanti, tutti quelli che busseranno alla porta negli anni per una spaghettata, una cantata, un letto dove stare. Un indirizzo che è diventato il nuovo libro di Clara Sereni, Via Ripetta 155 (Giunti, 200 pagine, 14 €), romanzo autobiografico in cui Sereni parla di sé e della sua generazione in maniera schietta, sincera, liberatoria. È un libro in cui si respira una bella aria, che non è solo quella degli anni in cui si è provato a cambiare il mondo, ma è anche quella di chi ripensa a quel periodo con appassionata malinconia e senza rimpianto nostalgico. È un racconto pungente, vivace, ritmato dalla musica popolare del Folkstudio di Roma, a cui Sereni ha dedicato tempo ed energie, ed è soprattutto una scrittura essenziale, che va dritta al punto. Anche quando è doloroso, anche quando i tempi precipitosamente mutano e dallo spazio collettivo si torna ad un orizzonte privato.