Barbara Bonomi Romagnoli | Pink Bee Revolution
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Preservativo, consultori, test: quello che ancora gli studenti non sanno sull’Hiv

«E sì perché all’improvviso sono diventati tutti potenziali portatori del virus del secolo. Che sì, può essere però… quasi m’hanno fatto credere che non ci si debba più sfiorare. Sarò io che sono paranoico, ma vedevo tutti così. Invece dammele quelle mani calde, le voglio stringere e toccare e abbracciamoci, ve ne prego, di più, più forte, e piangiamo uno sulle spalle dell’altro e ridiamo e beviamoci qualcosa insieme che tutto questo non fa male! Perché è quello il rischio, no? Una specie di orrendo isolamento, come se la gente stesse in agguato per schizzarti il suo sangue addosso. Certo che bisogna stare attenti e i preservativi e tutto il resto. Però il sangue è quella cosa densa e calda che ci corre dentro e ci fa essere vivi. Tutti quanti. E certo che ci sto attento, però guardiamoci negli occhi e stiamo uno attaccato all’altro, coraggiosi che se non sono io sei tu, ma che differenza fa? Potrei essere io. Perché adesso spero che l’abbiano capito tutti, no? Che non c’entra di che razza sei, con chi ti piace andare a letto, se sei maschio o femmina, se hai scopato con cento persone o con due soltanto, non c’entra proprio niente, sul serio! Io me lo sono fatto il test. M’ha detto che per il momento l’ho schivato. E poteva benissimo essere il contrario. E certo che me la sono fatta sotto quando sono andato a ritirarlo! Però quando mi sono seduto lì, e quello mi tirava il sangue, mi sono sentito proprio bene, pronto a tutto, ad accettare tutto. Mi sentivo bene, forte, intelligente. Coraggioso come un guerriero. Quando si fa qualcosa di coraggioso ci si sente un passo avanti. Ma col cuore, mica col cervello. Come se dentro il cuore ti si rilassa, no? e qualcosa gli si accende dentro. Una cosa così». [Brano tratto da «Primo Dicembre. Performance a più voci»] 

Il debutto tedesco della prima figlia. Lezione di inclusione per Ivanka Trump al W20

La giornalista tedesca come prima domanda le ha chiesto «potrebbe chiarire la carica di “first daughter” a noi tedesche? È una cosa che non conosciamo»: è anche questo il motivo del brusio che ha accompagnato l’intervento di Ivanka Trump al W20 che si è svolto a Berlino. Le femministe presenti erano, non a torto, un po’ perplesse di quella definizione. «Lei è qui per rappresentare il popolo degli Stati Uniti, suo padre o le sue imprese?», ha incalzato la giornalista. «Certamente non queste ultime», risponde Trump, riconoscendo che la carica è nuova anche per lei e che sta ancora cercando di capirlo. «È presto per me. Sto ascoltando, imparando – ha aggiunto – e cercando di definire in che modo posso avere un impatto positivo».E di sicuro Trump avrà avuto molto di ascoltare in questo suo primo W20: donne da tutto il mondo si sono messe al lavoro per dare indicazioni e proposte di genere ai leader del G20 nella definizione di obiettivi comuni e di un’agenda politica condivisa per uno sviluppo economico sostenibile. Se lo scopo del G20 è infatti una crescita inclusiva e sostenibile in un mondo interconnesso, questo obiettivo non si può raggiungere se non con un impegno forte verso l’empowerment economico delle donne: è quanto sostengono le delegate in rappresentanza anche della società civile internazionale.

Budget più bassi e poca visibilità: gli ostacoli italiani per le registe

La premessa, in questo caso, è d’obbligo: affrontare il tema delle donne nel mondo dell’audiovisivo è particolarmente difficile perché non esiste un database di riferimento sulle professioniste del settore. In mancanza di informazioni quantitative, è molto difficile analizzare la situazione e tutto si aggrava se si riscontrano forti resistenze da parte delle associazioni a collaborare nella ricerca.Eppure, data la premessa, uno staff di ricercatrici è riuscito nell’impresa di realizzare il progetto Dea – Donne e audiovisivo con l’intento di iniziare a reperire dati e proporre interpretazioni. Ora, dopo la presentazione al 34° Torino Film Festival di un primo rapporto sullo stato dell’arte della ricerca e delle buone pratiche per il riequilibrio di genere nel cinema, nel documentario e nell’animazione, la ricerca è entrata nella fase di costruzione della banca dati sulle posizioni di donne e uomini nel mondo dell’audiovisivo, partendo dalla formazione professionale.

8 marzo – Lo sciopero delle donne «Ecco perché farlo anche in Italia»

Intervista a Eliana Como, Fiom

Trecentomila donne hanno manifestato a Roma lo scorso 26 novembre contro la violenza maschile sulle donne; Non Una Di Meno [Nudm ] continua il percorso nazionale e a inizio febbraio si sono riunite a Bologna circa duemila donne. Le tante anime dei femminismi e dei movimenti Lgbtqi proseguono nella scrittura del piano femminista nazionale antiviolenza, lanciando 8 punti per l’8 marzo e ribadiscono l’adesione allo sciopero globale delle donne, proposto dai movimenti femministi argentini e polacchi e a cui parteciperanno decine di paesi, dall’Europa agli Stati Uniti.

Cosa significa sciopero globale? Significa che ovunque le donne si asterranno da ogni forma – garantita, precaria, sottopagata, non riconosciuta – di lavoro produttivo, riproduttivo e di cura, non solo per dare un segnale chiaro nella lotta alla violenza fisica e psicologia sulle donne, ma anche per far valere il proprio peso nella comunità umana.

La laicità non si tocca

«È giusto esercitare radicalità innanzitutto nell’inclusione, accettando – e cercando di accorciare – le distanze tra noi per trovare una voce che esprima quello che siamo e vogliamo essere?». È la domanda che pone Barbara Stefanelli, vicedirettrice del Corriere della Sera, in un suo intervento in vista dell’8 marzo, aprendo ad una discussione a più voci sul significato dello stringere alleanze fra donne, sul senso di dirsi femministe oggi e sugli spazi – e relazioni – che si mettono in gioco.

Ricordando la scienziata Lise Meitner. Perché la storia delle donne è primo passo verso il piano femminista

«Perfino i fisici, come categoria quasi altrettanto maschilisti degli economisti, ammettono che Lise Meitner avrebbe dovuto ricevere il premio Nobel per la scoperta della fissione nucleare»: così esordisce Sylvie Coyaud nella voce dell’Enciclopedia delle donne dedicata alla «scienziata che non ha perso la sua umanità», ed è appassionante leggere la sua vita in La forza nell’atomo. Lise Meitner si racconta di Simona Cerrato (Editoriale Scienza), un bel testo illustrato rivolto alle lettrici e ai lettori più giovani.

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